Sciopero ad oltranza

Sono le ore dieci e trenta.
Chiudo l’uscio di casa dietro di me, vi appendo il foglietto adesivo e rileggo ciò che ho scritto a caratteri cubitali:
“Inizia da oggi il mio sciopero!”
Scendo, quasi di corsa, i tre piani di scale e mi trovo sul viale poco trafficato. Mi sembrano bellissimi gli alberi d’acacia dai grossi capolini gialli e profumati che ne costeggiano le due corsie separate dallo spartitraffico fiorito. I negozi vestono l’abito delle feste pasquali che incombono e il cielo, di un turchino intenso, regala speranza di giorni ricchi di sole.

La mia casa, all’estrema periferia del paese, è una specie di casermone -tre piani più mansarda, senza ascensore- costruita in economia negli anni settanta. Ogni mattone una rinuncia… ogni finestra una rinuncia.

Sacrifici, sacrifici per tutti, nonni, genitori e figli.

Al sud d’Italia l’unico traguardo veramente importante per ogni famiglia è l’essere i proprietari della casa in cui si abita; bella o brutta, piccola o grande, poco importa. L’importante è poter dire: “Se pianto un chiodo nel muro nessuno avrà di che lamentarsi e se pure non ho di che mangiare avrò sempre un tetto, un rifugio tutto mio!”

Fa freddo e tira vento. C’è nell’aria il buon profumo del pane appena sfornato. L’insegna del “Bar del Viale”, che riporta una tazza di caffè fumante che si accende e spegne a intervalli, è ancora illuminata.

Consumo una veloce colazione -cornetto con crema di ricotta e un caffè macchiato- mentre il barista mi guarda incuriosito. Certamente si sta chiedendo “Come mai la signora… a quest’ora… senza il ragioniere suo marito… ”Sapiddu chi ccè sutta, sapiddu!” che, tradotto in lingua siciliana volgarmente parlata, vuol dire “Chi lo sa cosa c’è sotto, chi lo sa!” .

A me degli arzigogoli del barista non importa proprio un bel niente.

Non sarà certo il giudizio della gente e del barista in particolare - benevolo o malevolo che sia - a cambiarmi l’esistenza.
Ho programmato nulla; quello che farò, durante questa prima mattinata di sciopero, è tutto da decidere lì per lì.
Il passo più importante di già l’ho fatto.
Ho varcato l’uscio della casa prigione.
Oggi, certamente, non mi farò fagocitare, come ogni giorno, dai mille lavori domestici: rifare i letti, rigovernare la cucina, lavare i panni, porli a sciorinare, pulire la lettiera di Fritz, il gatto dispotico e pasticcione quanto i padroni maschi, e poi, di fretta, preparare il pranzo “ché oramai si è fatto tardi!”.

L’ora graffiante e incontrollabile è quella del pranzo.
L’ora delle tante lamentele e dei mugugni vari, l’ora della consapevolezza di aver fatto tanto e del timore di non aver fatto tutto
e qualcuno, di certo, avrebbe trovato da ridire per la pasta non perfettamente al dente
(ci voleva altro mezzo minuto di cottura o, viceversa, dovevi scenderla dal fuoco mezzo minuto prima) o per la carne troppo cotta o per la frutta poco dolce (si deve cambiare fruttivendolo!)
Se un moscerino svolazza per casa è colpa mia come è mia la colpa se permane in cucina l’acre odore della frittura
- lupus in fabula-.

Mai perfetta ogni cosa per loro - per loro intendo il marito, i figli e i nipoti che, gira e rigira, sono sempre dalla nonna; la nonna
paziente e buona la nonna generosa che nulla chiede e tutto dà.
“Altri tempi, miei cari, -dico ad alta voce come se qualcuno stesse ad ascoltarmi- anche per voi le cose cambieranno, ve l’assicuro!

Ecco quanto accaduto appena il giorno prima…

… Continua

colazione-05